• esterovestizione e rischio stabile organizzazione

    Per esterovestizione si intende la fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società italiana all’estero. In alcuni casi, il trasferimento o la costituzione della società in un Paese con un trattamento fiscale più vantaggioso di quello nazionale è attuato allo scopo di sottrarsi al più gravoso regime nazionale.
    L'articolo 73, commi 5-bis e 5-ter, del Tuir introduce una presunzione relativa di residenza fiscale in Italia per le società estere che detengono direttamente una partecipazione di controllo in una società residente e sono a loro volta controllate, anche indirettamente, da un soggetto residente ovvero sono amministrate da un consiglio di amministrazione composto a maggioranza da soggetti residenti in Italia.
    La recente giurisprudenza tende ad  applicare il concetto di “esterovestizione” non solo alle società di mera gestione patrimoniali o finanziarie (immobili, marchi, brevetti, partecipazioni, finanziamenti, ecc.) ma anche a quelle attraverso cui soggetti residenti in Italia detengono all’estero reali stabilimenti produttivi.  Per la Corte di Cassazione: "quel che rileva, ai fini della configurazione di un abuso del diritto di stabilimento, non è accertare la sussistenza o meno di ragioni economiche diverse da quelle relative alla convenienza fiscale, ma accertare se il trasferimento in realtà vi è stato o meno se, cioè, l'operazione sia meramente artificiosa (wholly artificial arrangement), consistendo nella creazione di una forma giuridica che non riproduce una corrispondente e genuina realtà economica". In tal senso, si abuserebbe del diritto comunitario per fruire di vantaggi fiscali "quando l'indirizzo dell'impresa non corrisponde ad alcuna realtà economica del soggetto, cioè né alla sede dell'attività economica del soggetto, né ad un centro di attività stabile dal quale quest'ultimo svolge le sue operazioni".
    Spesso gli  imprenditori italiani (di norma famiglie) difficilmente riescono, quando decidono di produrre all’estero, a spogliarsi della loro tipica tenenza al controllo totale e accentrato dei loro affari. Di conseguenza la controllata estera risulta essere diretta, nei minimi dettagli quotidiani, dal quartier generale della controllante italiana. In pratica, se  nella sede della controllante si rinvengono documenti che dimostrano come la gestione quotidiana della società estera sia diretta dall’Italia, non conta che la società estera abbia un’effettiva attività produttiva o commerciale, sia dotata di impianti, personale e risulti titolare di rapporti giuridici con clienti e fornitori locali o esteri, che vi siano persone in loco che svolgono funzioni di coordinamento della locale organizzazione, ma assume prevalenza il fatto che queste persone hanno ruoli meramente esecutivi, anche nella gestione quotidiana, e non autentici poteri decisionali.
    Secondo il Commentario all'art. 4 del Modello OCSE la sede di direzione effettiva deve essere individuata:
    - nel luogo dove vengono assunte le decisioni chiave, di natura gestionale e commerciale, necessarie per la conduzione della attività di impresa;
    - nel luogo dove la persona o il gruppo di persone che esercitano le funzioni di maggior rilievo assumono ufficialmente le loro decisioni;
    - nel luogo di determinazione delle strategie che dovranno essere adottate dall'ente nel suo insieme.
    La valutazione di tali elementi deve essere sempre condotta in un'ottica di prevalenza della sostanza sulla forma, come ricorda esplicitamente lo stesso Commentario.
    Orbene, l'Italia nell'approvare il modello di Convenzione OCSE ha espresso una riserva all'art. 4, dichiarando di non condividere la interpretazione espressa nel paragrafo 24, riguardante la persona o il gruppo di persone che esercitano le funzioni di rango più elevato quale esclusivo criterio per identificare la sede di direzione effettiva di un ente, per la cui determinazione deve, invece, essere preso in considerazione "il luogo ove l'attività principale e sostanziale è esercitata".
    Si suggerisce quindi che il consiglio d’amministrazione della società controllata sia prevalentemente composto da soggetti non residenti in Italia e che la gestione ordinaria della società estera sia affidata a dirigenti con piena autonomia decisionale,  con effettivi poteri di rappresentanza.
    L'esterovestizione della società va sempre provata in ogni caso non essendo sufficienti le presunzioni previste dall'articolo 73, comma 5-bis, del Tuir. Per accreditare l'ipotesi di esterovestizione da parte dell’Agenzia delle Entrate non è stato ritenuto sufficiente che soci, amministratori e dirigenti fossero italiani e che alcuni di essi avessero con loro documenti relativi all'attività sociale occorre provare l’effettiva direzione dall’Italia della controllata. In ogni caso è preferibile che il CDA della società capogruppo sia diverso da quello della controllata, in quanto viceversa diventa assai complicato superare l'accusa di esterovestizione mossa dall'autorità giudiziaria, con le conseguenti misure, anche cautelari, del caso.
    La Corte di Cassazione, in data 8 aprile 2013, con la sentenza n. 16001, si è pronunciata sulla rilevanza penale dell'elusione fiscale, in ipotesi di esterovestizione societaria. La riqualificazione della residenza fiscale, di una società formalmente di diritto estero, comporta infatti l'applicazione della sanzione penale per il reato previsto e punito dall'art.5 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
    La Commissione Europea sta stringendo sul Lussemburgo per il regime di favore accordato alle società estere che ivi trasferiscono la sede legale con l’attrattiva di non pagare tasse sulle royalties percepite sullo sfruttamento dei marchi e la Svizzera sta aprendo ad accordi di collaborazione con le amministrazioni estere.
    Diventa della massima priorità per le imprese che abbiano localizzato in paradisi fiscali esteri parte del reddito studiare una exit strategy approfittando delle recenti aperture dell’Agenzia e del governo.